Non Trattarle Male

 

 

Arthur Brown odiava le sveglie.

Per il resto era un uomo normale, alto, bruno, con uno spiccato interesse verso gli oroscopi. Aveva un buon lavoro alla Banca Centrale di Minneapolis che gli lasciava poche ore libere da dedicare ad altre attività. Ma non sembrava che ciò gli importasse più di tanto: amava il suo lavoro che era molto ben retribuito, anche se non riusciva a trovare il tempo di spendere tutti quei soldi.

Quando la sera tornava stanco, per essere stato in ufficio tutto il giorno, consumava un pasto frugale e poi si accovacciava come un gatto sopra il divano e si appisolava guardando la televisione. Andava matto per i telefilm polizieschi che puntualmente erano trasmessi ad ore proibite, per cui verso le tre di notte, quando la mancanza di sonno minacciava di diventare uno stato comatoso, si recava finalmente a letto rimettendo alle sette la sua sveglia, la sesta dall’inizio del mese.

La sua antipatia per le sveglie rasentava la follia. Non sopportava nessuno di quei suoni odiosi e martellanti che gli penetravano fino al cervello, facendogli perdere la ragione. Ne aveva provate di tutti i tipi: digitali, con la carica, dal trillo melodioso e quelle russe che avrebbero svegliato un elefante. Nessuna gli piaceva, o meglio, nessuna aveva resistito a lungo alla sua violenza mattutina.

            Alcune le aveva sbattute sul comodino, altre le aveva gettate contro il muro. Una volta le aveva persino prese a martellate, ma in seguito evitò con cura di lasciare attrezzi in giro, per una semplice questione di economia domestica.

            Comunque la sua ultima sveglia aveva resistito più del previsto. Era piuttosto robusta e non sgarrava di un secondo, nonostante le ripetute percosse che aveva ricevuto.

            Arthur dormiva profondamente.

            Amava dormire e avrebbe continuato per tutta l’eternità, finché:

            “Driiin!”

            Arthur ebbe un sussulto. Fece finta di non sentire.

            “Driiin!”, ripeté la sveglia.

            “Che ti si secchi la lingua!”, gridò con rabbia. Se avesse potuto l’avrebbe strozzata, ma troppe volte si era ripromesso di calmarsi un po’ e si limitò ad un feroce cazzottone sul pulsante della suoneria.

            Dopo qualche istante di silenzio la sveglia tornò a squillare ancora più forte:

            “Driiin!”

            Arthur la prese e la scagliò con ferocia contro il muro, sentendo distintamente il rumore del metallo che si fracassava.

            “Driiin!”, la sveglia sembrava non aver risentito degli effetti dell’urto.

            La raccolse e la batté ripetutamente sul bordo del comodino, finché non sentì i ticchettii affievolirsi fino a diventare un debole gemito.

            La sveglia tornò silenziosa e lui si rimise a letto cercando di dormire ancora un po’.

            Dopo un po’ decise che forse era meglio alzarsi. Con grande fatica riuscì a sollevarsi dalle coperte e cercò le sue pantofole. Non le trovò al loro posto.

            “Che diavolo succede?”, si lamentò. Accese la luce sul comodino e, davanti ai suoi occhi, si presentò una scena che aveva dell’incredibile.

            La sua stanza era scomparsa, anzi era scomparsa l’intera casa. Si trovava, invece, sopra una piattaforma circolare immersa nel vuoto più assoluto!

            Si chiese se stesse sognando.

            Provò a guardare verso il basso, ma il buio sembrava regnare in tutte le direzioni. Gettò un bottone del suo pigiama nel vuoto, sperando che risuonasse dal fondo, ma non si sentì alcunché.

            Era solo, senza porte, finestre o vie di scampo. Sospeso su di una immobile piattaforma. Lui, il suo letto e il suo comodino.

            E la sua sveglia… già, c’era anche quella. Dannatissima e fottutissima sveglia.

            Si avvicinò prendendola in mano. Cominciò ad esaminarla; non l’aveva mai fatto prima, si limitava a comprarle, a sistemarle sul comodino e a sfasciarle.

            C’era qualcosa di strano in essa. Non era segnato il luogo di fabbricazione e le ore cominciavano a scolorirsi lasciando intravedere degli strani simboli.

            Arthur la rimise al suo posto.

            Si guardò attorno cominciando ad imprecare. Urlò, ma ciò non sembrava modificare per niente la situazione.

            “Maledetta sveglia!”

            L’afferrò con le mani e cominciò a sbatterla sul pomo di ottone del letto. La gettò per terra calpestandola con violenza, cercando di sfondarne il quadrante.

            Poi la vide contorcersi.

            Fece un passo indietro.

            La sveglia cominciò a vibrare. S’ingrossava. Diventò come un grosso cocomero, poi ancora più grande. Si era gonfiata come un armadio.

            Arthur la guardò con gli occhi spalancati.

            La sveglia lo afferrò con le due lancette che sembravano proboscidi e, senza esitare, se lo mangiò con disprezzo.